lunedì 11 dicembre 2006

Assassino, assassino, assassino !

È morto all’età di 91 anni il generale cileno Augusto Pinochet, ex dittatore del Cile, assassino di stato.

La storia della sua sanguinaria dittatura è per fortuna fin troppo nota. La troverete dappertutto. Nel 1973 prese il potere con un colpo di stato militare uccidendo il presidente Salvador Allende e i suoi fedelissimi che si erano asserragliati nel palazzo del governo. Ben 28 mila persone torturate, altri 20 mila cileni costretti all’esilio, più di 3 mila cileni scomparsi nel nulla. Lo stadio di Santiago pieno di comunisti, socialisti, persone di sinistra, oppositori. Una carneficina senza fine. Gente che scompariva nei sotterranei di Villa Grimaldi, il centro i tortura per gli oppositori. Morti senza tomba. L’operazione Condor, finanziata dalla CIA per lo sterminio di ogni opposizione di sinistra.

Tra i tanti fatti che la storia giudicherà, come dimenticare la visita in Cile del Papa Giovanni Paolo II, organizzata dal cardinale Sodano. Era il 1987 e dal balcone della Moneda, il Papa e il genocida Augusto Pinochet, si affacciarono e salutarono la folla. Appena più in la, dalle strade di Santiago, si alzava il silenzioso grido di dolore dei fantasmi dei morti senza nome.
Assassino, assassino, assassino !

lunedì 4 dicembre 2006

La fattucchiera, la streghetta, la chimica e il pallone

Pochi giorni fa il Pubblico Ministero della Procura di Roma, Lina Cusano, ha emesso una sentenza di condanna nei confronti dell'ex presidente della Lazio Sergio Cragnotti e dell'argentino Juan Sebastian Veron, soprannominato la brujita, processati per lo scandalo dei passaporti falsi e delle presunte irregolarità nella naturalizzazione del giocatore. Sono stati chiesti due anni e mezzo di reclusione per il calciatore e due anni per l'ex presidente della Lazio, oltre a condanne per altri sette imputati. Le eventuali pene che dovessero essere inflitte sono comunque coperte da indulto. Ancora una volta Sergio Cagnotti cade in piedi. Ma chi si ricorda che questo poco illustre ex personaggio del calcio è stato un altrettanto poco illustre ex finanziare e ex direttore d’azienda? E che azienda…

Vent'anni vissuti pericolosamente. Sergio Cragnotti, ex finanziere, abile e spregiudicato, che Enrico Cuccia chiamava ''la fattucchiera''. Sergio Cragnotti bravissimo a fiutare le tempeste e a tenersene ben al riparo. Dopo una laurea in economia parte per il Brasile dove conosce Serafino Ferruzzi che gli affida la direzione delle sue attività. In Brasile fa anche l'altro incontro chiave della sua carriera: quello con Raul Gardini. Nel 1986 diventa amministratore delegato della Ferruzzi Agricola Finanziaria. Nel 1988 torna in Italia richiamato da Ferruzzi. Serve il suo aiuto. Cragnotti approda a Foro Bonaparte, tempio storico della finanza italiana. Viene nominato vicepresidente del gruppo Montedison nel 1988 e realizza alcuni grossi colpi finanziari, come la vendita della Standa a Silvio Berlusconi e la ristrutturazione della Sir. L'anno successivo, Raul Gardini lo nomina amministratore delegato dell'Enimont, il nuovo colosso della chimica nazionale. Cragnotti combatte la battaglia per il controllo del nuovo polo chimico fino a guidarlo, in solitario, dal '90 fino al suo epilogo, dopo le dimissioni del presidente Lorenzo Necci. Una scalata che sembra inarrestabile. Una capacità di fiutare le tempeste che lo salva da tangentopoli. Lui e Necci si salvano. Gardini si suicida, si spara un colpo. Gabriele Cagliari si toglie la vita in carcere con un sacchetto in testa. L’unico che paga con il carcere è Carlo Sama, genero di Serafino Ferruzzi e cognato di Gardini. Uscito dal carcere ritorna sul business dell’energia con il bio-diesel. Necci si rimette in affari con il comune di Roma per l’affare ferrovie con l’ex sindaco Francesco Rutelli. Diventa addirittura amministratore delegato delle ferrovie dello stato. Poi l’anno scorso muore in un banale incidente. Viene investito da un’auto mentre, in vacanza vicino a Brindisi, faceva un giro in bici. Cagnotti cambia settore e cambia aria per un po’.

Nel '91, nasce a Londra la Cragnotti&Partners Capital Investiment. Cragnotti ne diviene presidente ed azionista e si trova così a guidare una banca d'affari che e', al tempo stesso, un crocevia di alleanze e un grosso gruppo industriale. La società si concentra soprattutto nel campo dell'agroalimentare, dopo la privatizzazione della Sme. Poi fonda il Gruppo Cirio, associato con il marchio De Rica, che nel corso degli anni acquisterà altri gruppi, come il Del Monte nel 2001, Bertolli e la Centrale del latte.

In tutto questo, Cragnotti vive anche un'altra passione, quella per la Lazio. Nel 1992 comincia un'altra grande avventura. Cragnotti diventa presidente della società sportiva Lazio. E per la squadra cominciano gli anni d'oro. Ma qui si inizia un nuovo capitolo. Le frequentazioni con gli ambienti della destra romana, l’amicizia con il potente Francesco Storace e l’operazione di ripulitura del passato di Cragnotti.
Continua………

venerdì 12 maggio 2006

Influenza aviaria: IL MINISTRO E IL DOTTORE

Seconda parte:
a chi serve il Tamiflu?

Roma, 18 ottobre 2005 - ''Tutti i cittadini dovrebbero fare il vaccino contro l'influenza stagionale'' e non solo chi appartiene alle categorie tradizionalmente ritenute a rischio, ''perché' gli esperti dicono che può rappresentare un aiuto, anche se ovviamente non e' il vaccino contro l'influenza di stagione quello adatto per il virus dell'influenza aviaria''. Lo ha detto il ministro della Salute, Francesco Storace, intervenuto oggi durante la trasmissione di Radiodue ''28 minuti'', che ha confessato ''anch’io faccio abitualmente il vaccino da anni.”

Il gruppo farmaceutico Roche ha annunciato subito dopo un aumento della capacità di produzione dell'antivirale Tamiflu, considerato efficace nella lotta all'influenza aviaria. William Burns, responsabile della divisione pharma del gruppo, dichiara
"al momento La Roche ha una licenza esclusiva per la fabbricazione del Tamiflu. Possiamo accontentare tutti.”

Licenza esclusiva? Diamo alcuni numeri. 50 milioni di euro spesi dal ministero della salute per immagazzinare milioni di vaccini. C’è n’era bisogno? Bisognava immagazzinarli subito, immediatamente? Tamiflu non è l’unico vaccino considerato efficace. C’è ne sono almeno altri due. C’è n’era bisogno? Diffusione da tutti i mass media di allarmismo e paura. Siam tutti in pericolo di pandemia e moriremo a migliaia. C’è n’era bisogno? Il Tamiflu prima era considera un farmaco di bassa categoria, un fallimento del mercato. Nessuno lo comprava. Prima dello scoppio dell’allarme aviaria, ovviamente. C’è n’era bisogno? Ma come si fa a sapere che Tamiflu è efficace su un virus che muta in continuazione, di cui non si conosce ancora bene l’impatto sull’uomo?Abbiamo davvero bisogno di un stock di milioni di questi vaccini? Saranno efficaci? O il prossimo inverno saranno dichiarati superati da nuovi vaccini? Ma c’è n’era davvero bisogno?

Ma soprattutto. Sapevate che quest’anno sono aumentate di oltre il 30% il numero delle persone che si sono vaccinate contro l’influenza normale? Anche quello è un business. Perché l’ex ministro si traveste da dottore? o son i suoi amici dottori che si travestono da ministro? Non voglio cadere nella retorica ma ci son altre epidemie o malattie che non ricevono un soldo o molti meno e colpiscono molta più gente. Questa storia dell’influenza aviaria puzza e tanto. Qualcuno ci ha marciato e forse guadagnato. Certo la non immacolata storia del ministro non depone in suo favore e si sa che quelli de La Roche non sono certo un’associazione umanitaria no profit. Mah. Staremo a vedere.

venerdì 5 maggio 2006

Influenza aviaria: IL MINISTRO E IL DOTTORE.

Prima parte: il Ministro

Francesco Storace, ex Ministro della Salute, nasce come giornalista del Secolo d’Italia. Figlio adottivo di mamma Roma aderisce fin da ragazzo al Movimento Sociale Italiano, poi Alleanza Nazionale. Viene eletto deputato la nel 1994 e nel 1996, poi nell’aprile 2000 diventa presidente della Giunta Regionale del Lazio. E qui cominciano i primi guai. Storace mostra subito un grandissimo fascino per il potere e per le rivincite morali. Figlio degli anni settanta in cui lui e quelli del suo partito le prendevano dagli Autonomi e da quelli di Potere Operaio, decide che ora Roma e il Lazio devono essere trasformate piazzando ai posti giusti i suoi amici. Lui è il capo ora. Il nodo più interessante è la sanità regionale con un dominio assoluto di primari d’ospedale vicini alla sua corrente politica o conoscenti. Dura vita per i medici che la vedono diversamente e per gli abortisti. La sanità capitolina si incartapecora in interessi politici, cliniche private, privilegi e proibizionismo. Il massimo picco del suo potere avviene alla fine sul suo mandato alla sua poltrona regionale. Nel 2005 mette su un impianto di spionaggio dei suoi rivali politici che farebbe invidia al Watergate di Nixon. Francesco Stor-haker, come lo soprannominerà la sua ex sodale Alessandra Mussolini, nega ancora tutto, ma intercettazioni, affiliazioni e sospetti sono un fardello pesante. Lo stesso anno si consuma dentro il suo partito, Alleanza Nazionale, una notte di lunghi coltelli tra la sua corrente “Destra Sociale” (insieme a Alemanno, Urso, Matteoli e Nania) contro gli altri (La Russa e Gasparri), considerati vicini al leader Fini, considerato debole e traditore della “Linea di Fiuggi”. Ci furono accuse e insulti ma Fini represse lo scontro nel sangue, facendo piazza pulita di tutti i colonnelli, azzerando le cariche del partito e restando l’unico e incontestabile faraone. Destra Sociale venne sciolta ufficialmente quando Storace sconfitto alla carica di presidente della Regione Lazio chiede in cambio una poltrona di ministro, la sua tanto amata Sanità. Gasparri si oppone alla sua entrata al governo e vincola la sua permanenza alle Comunicazioni alle decisioni di Berlusconi. Storace entra nel governo, Gasparri esce e viene sciolta Destra Sociale. Ora Il ministro ha campo libero.

venerdì 21 aprile 2006

I bambini dagli occhi bianchi

Vent’anni fa. Sono passati vent’anni. Passa il tempo, ma non bisogna dimenticare. Era una notte, la notte del 26 aprile 1986. A due passi dalla rossa Kiev. Un incidente al generatore nucleare di Cernobyl. La morte immediata di tanta gente. L’abbandono delle case e dei campi. La lenta agonia di decine di migliaia di uomini e donne. Divorate dal cancro. Gente che ancora muore, dopo vent’anni. Bambini nati già morti. Bambini ammalati per sempre. Mucche nate con due teste. Ospedali pieni di ammalati. E chissà quante cose non sapremo mai. Storie di ordinarie morti. Dicono che lì ormai non ci fanno più caso. Cernobyl oggi è terra di nessuno. Un fazzoletto di terra in mezzo alla guerra del gas che i paesi dell’ex Unione Sovietica si fanno da qualche anno. Terra di gasdotti, di generali-politici e di bambini dagli occhi bianchi. Vent’anni fa. Oggi. Domani.
Chi non dimentica ricorda. Chi ricorda vive. A suivre.

martedì 4 aprile 2006

memorie di una testa tagliata

In questi giorni si sta ultimando negli Stati Uniti il processo a Zacarias Moussaoui, l’unico colpevole rimasto dei fatti dell’11 settembre 2001. Moussaoui, 37 anni, fu arrestato dall'FBI nell'agosto 2001, mentre prendeva lezioni di volo in Minnesota. Qualche mese dopo confessò che avrebbe dovuto far parte del gruppo dei dirottatori che si schiantarono su Twin Towers e il Pentagono (anche se la storia del Pentagono rimane ancora poco certa ma ne parleremo un’altra volta). L’unico colpevole rimasto per un processo che celebra la forza dell’America sopra i suoi nemici.

Dopo l’11 settembre si inizia ad indagare sulla vita di Moussaoui. Si scopre che frequentava una scuola di volo dove aveva conosciuto un ragazzo di nome Nick Berg. Erano diventati amici e Berg gli aveva lasciato usare la sua password per accedere ad internet e alla posta elettronica dove Moussaoui, secondo l’accusa, teneva i contatti con i gruppi vicini ad Al-Qaeda e Bin Laden. Berg viene fermato e interrogato. Dopo un po’ viene rilasciato e di lui non sappiamo più nulla per mesi. Non se ne parla più. Strano.

L’11 maggio 2004 tutte le televisioni del mondo mostrano i fotogrammi meno cruenti di un video che proviene dall’Iraq. Un commando di 6 persone incappucciate, presumibilmente un gruppo legato ad Al-Qaeda, uccide e decapita un ostaggio americano. Uno degli uomini prende la testa senza corpo per i capelli e la solleva. Un’immagine tremenda. Molti parleranno di monito per l’Occidente. I giornali italiani “Libero” ed il "Foglio" titolarono “barbarie islamica” e decisero di pubblicare la foto della testa mozzata in prima pagina. Ma chi era l’ostaggio decapitato? Forse molti non ricordano, ma si trattava di Nick Berg…

Nick Berg, 26 anni, originario della Pennsylvania, dopo averne passate di cotte e di crude per la conoscenza con Moussaoui decide di andare in Iraq. Mica il posto più tranquillo del mondo. Parte il 18 gennaio 2004. Dice ai parenti che la ditta per la quale lavora aveva avuto un sub-appalto da un grande consorzio che aveva vinto la gara per l’assegnazione di un contratto per la Iraqi Media Network (controllata dagli americani). Va quindi a lavorare vicino a Abu Ghraib, luogo delle carceri-lager americane. Il 23-24 marzo viene misteriosamente arrestato dalla polizia irachena presso Mosul. Viene rilasciato il 6 aprile. Poi altrettanto misteriosamente finisce in mano all’FBI. La detenzione di Berg da parte dell’esercito americano è confermata da alcune e-mail in mano della famiglia Berg e inviate da funzionari diplomatici degli Stati Uniti. Troppi arresti per un semplice installatore di antenne televisive. E troppe mail in questa storia.

Poi di colpo non se ne sa più nulla. L’8 maggio viene trovato vicino a Mosul un corpo di un uomo senza testa. L’11 maggio compare il famoso video. Il video viene lanciato su internet non dall’Iraq ma da Londra. Berg indossa la tuta arancione dello stesso colore di quella indossata nelle carceri americane di Abu Ghraib e Guantanamo. Chi ha visto il video o i fotogrammi si rende conto facilmente come non sia possibile che l’uomo nel video fosse vivo e il suo cuore in funzione quando è avvenuta la decapitazione. Non c’è alcun schizzo di sangue, che invece dovrebbe uscire a fiotti e la testa tagliata sollevata in alto non mostra sgocciolature di sangue. La testa, il pavimento, i vestiti di Berg e le mani dell’assassino dovrebbero risultare insanguinate, ma non è così. Il taglio appare molto netto, il che è impossibile da ottenere durante un atto violento su una persona viva e con estrema rapidità.

E aggiungo. Che ci faceva Berg in Iraq? Perché viene continuamente braccato ed incarcerato? Perché l’unico collegamento con la persona di Zacarias Moussaoui ora è morto? Ma è davvero morto? E chi lo ha ucciso? Troppi misteri e troppe coincidenze in una sola volta. Ma non fa nulla. Abbiamo il processo a Zacarias Moussaoui. The show must go on.

mercoledì 29 marzo 2006

500 anni di guardie svizzere ed un mistero

500 anni fa, nel 1506, le Guardie Svizzere iniziavano la loro storia a difesa dello Stato del Vaticano. Tra commemorazioni, sfilate, alabarde e bandiere vorrei ricordare, controcorrente, cosa successe il 6 maggio 1998, quello che è passato alla storia come il giallo delle Guardie Svizzere. Il Colonnello della Guardia Svizzera Alois Estermann, sua moglie Gladys Meza Romero e la Guardia Svizzera Cédric Tornay furono trovati morti. La versione ufficiale del Vaticano attribuì la responsabilità del delitto allo stesso Tornay, richiamato da Estermann per non essere rientrato in caserma entro l'ora stabilita dal regolamento e risentito in quanto non inserito nell'organico delle guardie d'onore del Papa. Dieci ore prima del rinvenimento dei cadavere, il Colonnelo Estermann era stato nominato da Giovanni Paolo II comandante della Guardia Svizzera. Estermann era entrato nelle Guardie Svizzere nel 1980, ed in occasione dell'attentato al Papa del 1981 era stato uno di quelli che si era buttato sul suo corpo, cercando di ripararlo dagli spari.

I tre corpi vengono trovati da una suora di cui non si saprà mai il nome. Poi arrivano sul luogo il portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls (laico spagnolo e membro numerario dell'Opus Dei), Monsignor Giovanni Battista Re (sostituto della Segreteria Vaticana) e Monsignor Pedro Lopez Quintana (assessore per gli Affari Generali della Segreteria di Stato Vaticana). Il gotha della comunicazione vaticana dell’epoca. La scena del delitto non viene sigillata, anzi già mezz’ora dopo ci sono decine le persone che si aggirano tra i cadaveri. Elementi di prova importanti vengono rimossi o spostati. Ancora prima che partissero le indagini, venne resa nota una versione ufficiale. Parla Navarro Valls: "Da una prima sommaria ricognizione, è possibile affermare che il comandante Estermann, la moglie e il vicecaporale Tornay sono stati uccisi con un'arma da fuoco. Sotto il corpo del vicecaporale è stata trovata la pistola d'ordinanza del medesimo". Per farla breve l’assassino è Tormay, che in un momento di follia avrebbe ucciso i coniugi Estermann, per poi suicidarsi.

Si parlò di raptus, gesto di follia, psicosi di persecuzione, ma troppe cose non tornano. Manca un bossolo dalla scena del delitto, sembra che il “folle” Tornay avesse scritto una lettera per giustificare il suo raptus che non è mai stata mostrata a nessuno, neanche ai parenti che la richiedono da anni. Uno che ha un raptus non scrive lettere, a meno che si tratti di premeditazione e non di follia. Poi non convince la posizione di Tornay. Si è sparato un colpo in bocca e sarebbe rotolato in avanti, con la pancia sopra la pistola. Altri parlano del Comandante Esterman come ex spia della Germania dell’Est, la STASI. Altri puntano il dito sui giochi di potere all’interno delle Guardie Svizzere e tra Monsignori. In quegli anni si combattè la “guerra” per la Segreteria di Stato tra Monsignor Rosalio Castilio Lara e il Cardinale Angelo Sodano, terminata appena sei mesi prima con la vittoria di quest’ultimo. Un’altra pista collega l’uccisione con l’attentato a Giovanni Paolo II ed i segreti economici e finanziari della Banca Vaticana, lo IOR (Istituto Opere Religiose). Sta di fatto che questo rimane uno dei gialli insoluti del Vaticano, uno dei tantissimi. Non l’unica macchia sull’onore delle Guardie Svizzere, ma sicuramente la più grande.

martedì 21 marzo 2006

La congiura dei vassalli, 2 parte: i fatti.

Come già detto Berlusconi si dovrebbe guardare bene le spalle. E credo da uomo astuto quel è lo stia già facendo. Da tempo. Tutto e tutti concorrono ad un unico fine: buttarlo giù dalla poltrona di presidente del consiglio e uomo più potente d’Italia. Ma andiamo con ordine. Ho già scritto una premessa sulla situazione italiana ora ecco i fatti. Una lista di movimenti e sommovimenti molto, molto, sospetti:

  • L’UDC diventa la voce ufficiale del malcontento dei centristi nella Casa delle Libertà. C’è un accordo politico tra gentiluomini tra Casini e Fini per cui l’UDC rompe i coglioni e Alleanza Nazionale sta buona, tifa UDC ma media con Berlusconi. Unico scopo comune: fare fuori la Lega e in secondo luogo Berlusconi. Fini e Casini coltivano legittime aspirazioni di leader di coalizione e ai voti di Forza Italia
  • Ammiccamenti, occhiolini, sorrisi, intese e frasi lasciate a metà tra Casini, Buttiglione, Mastella e Rutelli. Lo scenario è il Meeting di Comunione e Liberazione di quest’estate. Obiettivo: il grande centro. Aspirazione: riprendersi i voti della vecchia Democrazia Cristiana. Orizzonte temporale: le elezioni del 2010. Condizione necessaria: fare fuori prima Berlusconi, poi silurare Prodi denunciandolo alla Santa Inquisizione per la sua politica su pacs, libertà laiche, concordato, insegnamento della religione nelle scuole.
  • Formigoni, presidente della Regione Lombardia, telefona a Berlusconi. Gli dice che perderanno al senato senza lui ed i suoi come capolista. Berlusconi lo accontenta. Non si fida ma non può far diversamente. Formigoni chiede in caso di vittoria un ministero pesante. Forse gli esteri o gli interni. Se perdessero le elezioni, invece, Formigoni legato a doppio filo al futuro del grande centro e a Comunione e Liberazione, avanzerebbe legittime aspirazioni di leader di Forza Italia. Dovrebbe solo fare lo sforzo di buttare giù dalla torre il capro espiatorio della possibile sconfitta: Berlusconi. Rischioso ma altamente remunerativo.
  • Lo spaccamento dei vertici di Confindustria schierati contro Berlusconi. Il premier non li rappresenta più perché non vogliono più essere rappresentati. Hanno deciso che vogliono tutto. Vogliono entrare in prima persona nei fatti del paese. Non vogliono più un mediatore. Vogliono una fetta di torta e subito.
  • Il Corriere della Sera si schiera apertamente con Prodi. Sono sulla stessa linea anche i giornali tradizionali del capitalismo: il Sole 24 Ore, La Stampa, il Messaggero. Sono scontenti della situazione congiunturale del paese e vogliono dire la loro. Hanno tutto il diritto a criticare una cosa che non gli va o ad essere faziosi. Basta essere trasparenti e sinceri. Se ci sarà un ricambio generazionale loro ne vogliono far parte.
  • Le banche ed i poteri finanziari recriminano la loro parte nella conduzione del paese. Draghi alla Banca d’Italia non è di certo uno zerbino per chiunque. Anzi. Chi lo vorrebbe zitto e sottomesso non ha fatto i conti con le sue amicizie e con il fatto che l’uomo ha due grosse palle. Ha deciso di uscire allo scoperto da subito, critica le scelte politiche e si prepara ad avere parte attiva in futuro.
  • Le Regioni scalpitano, vogliono più soldi e più autonomie. Gli enti locali si chiudono su se stessi difendendo i loro piccoli bilanci e la loro stessa autorità ad operare e continuare ad essere attori sui territori. Se vincesse Berlusconi non potrebbero reggere all’urto di un ulteriore accentramento delle risorse economiche e al taglio della pubblica amministrazione.

Scommettiamo che come nel 1994 Berlusconi giocherà ancora il tutto e per tutto. Se vince si mangia ancora una volta tutta la torta. Tutta lui. Ma se perde allora via al governo Prodi di transizione, prima che si riorganizzi il grande centro con UDC, la nuova Alleanza Nazionale, la Margherita, UDEUR e i alcuni vecchi notabili DC a rimorchio. Poi sarà tutta un’altra politica. Torta più grande e per tutti. Più fette, più persone soddisfatte. Un pezzo alle banche, un’altra agli industriali e al grande capitalismo, un’altra alla chiesa, un’altra agli enti locali, una al partito per rafforzarlo, un’altra a…..

martedì 14 marzo 2006

Migranti senza più diritto di esseri umani

In fila per avere la licenza di esseri umani. Uomini, donne, vecchi, bambini che dormono uno a fianco all’altro davanti alla porta chiusa dei 6.300 uffici postali italiani. Oggi si presentavano le domande per ottenere il permesso di soggiorno per i nuovi migrati. 500.000 domande per 170.000 posti disponibili. È il decreto flussi. Solo 170.000 nuovi arrivi all’anno. Chi fa la fila sa che solo 23-24 di loro avranno il permesso di soggiorno. È per questo che hanno passato la notte in strada. Vogliono essere i primi quando gli uffici postali apriranno i battenti. Ma sanno che molti di loro domani saranno clandestini.

Molte mogli non raggiungeranno i loro mariti. Molti bambini non potranno vedere i loro papà. Molti immigrati perderanno il lavoro perché saranno dichiarati clandestini. Sono anche io migrato per lavoro. Dalla mia Sardegna al Nord Italia. Solo che parlo la lingua giusta ed ho un giusto colore di pelle. Certo c’è sempre l’ignoranza razzista di chi mi da del terrone. Ma un terrone con le palle si mangia in un boccone i razzisti e gli ignoranti. Vedere la disperazione negli occhi di un altro migrante mi gonfia il cuore di amarezza. Io certo sono più fortunato. Ma mi metto nei loro panni. In fin dei conti non è difficile. Se dall’oggi al domani mi dicessero che sono clandestino. Non voluto. Illegale. Cosa farei? Che fareste voi se foste clandestini? Senza più permesso di soggiorno. Senza lavoro, perché illegali. Che fareste? Dove andreste a vivere? Cosa mangereste? Dove vi rifugereste? Tornereste a casa senza un soldo e con un sogno infranto? Che direste a vostro figlio che ha fame? Vi dareste alla criminalità? Chiedereste l’elemosina? Lavorereste in nero? Si, che fareste voi, se domani mattina foste dichiarati clandestini?

giovedì 9 marzo 2006

La congiura dei vassalli, 1 parte: Premessa

Vorrei scrivere due parole sul subbuglio politico di questi giorni. Ritengo che le prossime elezioni politiche non avranno alcun vincitore ma un solo sconfitto: Silvio Berlusconi. E la sua sconfitta non è frutto della vittoria della controparte politica ma dei suoi stessi vassalli, i rifugiati Democristiani che ha allattato per un decennio e un’Alleanza Nazionale radicalmente modernizzata. Ma vorrei andare con ordine. Non voglio affrontare ora temi di merito sui Governi Berlusconi. Ho ovviamente un’opinione in proposito ma non è questo il luogo. Berlusconi ha vinto due elezioni. Ha avuto la maggioranza di voti e seggi. È stato il leader che ha fatto vincere la sua coalizione con grandissime abilità strategiche, grande profusione di finanze e un uso mirato dei media. Ha raccolto consensi trasversali dal ceto medio, dagli imprenditori, dai poteri forti, dal moderno proletariato. La maggioranza di chi delega la rappresentanza dei propri diritti in Parlamento lo ha scelto con libere elezioni.

Ma la domanda che io mi pongo è come ha fatto Berlusconi a diventare l’uomo più potente in Italia, in un paese che prima della seconda repubblica è sempre stato pluralista. Come si è potuto passare da un potere condiviso e frazionato ad un potere accentrato e monolitico? Ma sopratutto perchè gli altri poteri forti italiani non reclamano la loro parte? In Italia sono sempre esistiti una miriade di poteri forti. Il potere bancario, quello dei commercianti, quello della chiesa, quello degli industriali, quello degli enti locali, quello degli enti pubblici, etc. etc. Tutti abbarbicati ai loro privilegi che erano veri e propri poteri politici. Lo Stato allora erano tanti Stati, lo Stato aveva molti volti e nessun leader assoluto. Non c’erano il Re ed i suoi vassalli, ma tanti Re, ognuno con proprie giurisdizioni. Questa situazione era ben rappresentata nell’organizzazione politica della Democrazia Cristiana, dove il potere del partito era diviso per deleghe, ministeri, presidenze e segretariati. Con il terremoto di tangentopoli questo sistema di poteri pluralisti è stato spazzato via. Nessuno voleva più questo potere. Scottava troppo. Troppo pericoloso. Nei primi anni novanta, in Italia, c’erano partiti dove nessuno voleva sedersi sulla sedia di segretario. Metà della classe politica era indagata, metà dei poteri forti legati allo stato era indagata (solo il potere bancario e finanziario ne rimase fuori, ma questo sarà un altro capitolo). Chi stava fuori dalle aule di giustizia, cercava di stare nell’ombra e non dare nell’occhio. Il potere, pluralista e magnaccione, si nascose e sfuggì alle cariche pubbliche.

In quel periodo di sconvolgimenti solo un uomo ebbe il coraggio, la forza e la faccia tosta di ergersi a difensore di quei poteri forti di cui faceva parte. Solo che lui non si nascose. Silvio Berlusconi, imprenditore con la coscienza non immacolata, giocò il tutto e per tutto, con tutti i mezzi che aveva a disposizione, e vinse la contesa. Se avesse perso sarebbe stato un uomo finito. Ma in caso di vittoria gli spettava tutto il piatto e nessuno avrebbe detto mezza parola. Divenne l’uomo più potente d’Italia. Se lui non fosse sceso in politica il potere sarebbe stato riassegnato ai partiti di sinistra. Sarebbe finito in tante mani diverse, tanti uomini diversi. Il pluralismo si sarebbe riformato su basi diverse. Berlusconi era solo uno. Lui era il potere assoluto. I poteri forti rimasti in ombra lo riconobbero come loro Re, gli si asservirono e non lo contrastarono mai. Berlusconi con il suo movimento politico, Forza Italia, ereditò i voti della Democrazia Cristiana e del nord Italia Craxiano. L’Italia pluralista restò in soffitta e leccarsi le ferite. In silenzio. Asservita ma rancorosa.

Ma il tempo sana tutto e fa dimenticare la storia. Ora questi poteri sono tornati a battere cassa. Si sono rigenerati all’ombra di Berlusconi ma ora reclamano il potere che gli spettava un tempo. Mostrano le loro credenziali nobiliari. Vogliono ridividere quelle prerogative che Berlusconi aveva raccolto e protetto, facendole sue. I poteri forti legati alla vecchia Democrazia Cristiana, i vecchi sopravvissuti ed i giovani degli anni novanta, lasciati a quei tempi allo sbaraglio, si sono irrobustiti ed hanno un solo pensiero fisso. Forza Italia e il suo carnet di elettori. Un buon 20-22% delle preferenze che senza Berlusconi sarebbe orfano ed andrebbe altrove. A CHI ANDREBBERO A FINIRE TUTTI QUEI VOTI? CHI VUOLE FAR RINASCERE LA DEMOCRAZIA CRISTIANA? CHI SONO I CONGIURATI DEL NUOVO GRANDE PARTITO DEL CENTRO? PERCHE' HANNO BISOGNO DI FAR FUORI IL LORO PROTETTORE? (fine prima parte)

lunedì 6 marzo 2006

una storia molto italiana

La storia di Bernardo Provenzano, detto Binnu, noto oggi come il superlatitante di Corleone, credo sia nota a tutti. Almeno per sommi capi. La sua storia criminale inizia il 18 settembre 1963, quando Corleone era divisa in due clan. Chi stava con Luciano Liggio e chi con Michele Navarra. E come spesso succede uno era di troppo. Il 9 maggio quattro signori, Giuseppe Ruffino, Calogero Bagarella, Giovanni e Bernardo Provenzano, appartenenti al clan Liggio hanno l’ordine di uccidere Francesco Paolo Streva, esponente del clan Navarra. Sarebbe stato un duro colpo per il clan avversario. Streva però in un primo tempo sfugge all'agguato e verrà poi ucciso il 10 settembre. I carabinieri indagano e il 18 settembre 1963 fotografano un giovane Bernardo Provenzano, sospettato del delitto Streva. Portava i capelli lucidi di brillantina ed il volto segnato dal taglio profondo degli occhi. Sembrava appena uscito dal barbiere.

Da quella famosa foto, unica traccia dei carabinieri, la storia è lunga. Provenzano sparisce. Nessuno sa chi sia in realtà. È ricercato ma nessuno lo cerca. È un signor nessuno. Un senza storia, potrebbe essere chiunque. Almeno fino al gennaio 2001. La squadra mobile di Palermo arresta Benedetto Spera e gli trova a casa le lettere inviate dai familiari a Bernardo Provenzano. Da lì il sillogismo è semplice. Provenzano è ancora vivo, nascosto da qualche parte ed ancora in cima alla cupola mafiosa. Nel 2002 altro tassello. Il capo mandamento di Caccamo, Antonino Giuffré si pente. È il braccio destro di Bernardo Provenzano. L'8 ottobre del 2002 compare per la prima volta davanti alla prima corte d'assise d'appello di Palermo e vuota parte del sacco. Si scopre che Provenzano possiede abitazioni coperte, ville, masserie, cantine.

Da li la caccia ossessiva al superlatitante. Bernardo “Binnu” Provenzano è braccato. Si scopre che è molto malato. Si scopre che si è fatto ricoverare e curare in Francia. Si scoprono tracce di medici e infermieri. Si scopre che si è addirittura fatto curare alle spese l’erario pubblico italiano. Si scopre che un figlio ha preso l’anno scorso un borsa di studio dal Ministero dell'Istruzione per promuovere la cultura italiana all'estero, in Germania. Si scopre che sicuramente sta a Palermo. È malato. Non riesce a spostarsi agevolmente ed ha costante bisogno di un medico.

E dopo avervi raccontato tutta la storiellina vengo al dunque. Sembra chiaro a tutti che Provenzano il superlatitante sia ormai con le spalle al muro. A sentire le dichiarazioni degli inquirenti si sa tutto di lui. Tutto eccetto il suo indirizzo. Il campanello da suonare per entrare nel suo covo. Certo la sua cattura sarebbe una bel colpo. Un terremoto mediatico che per almeno una settimana dominerà telegiornali, riviste e quotidiani. Un piedistallo altissimo per chi lo catturerà. Una medaglia al sommo impegno contro la mafia. Lo Stato efficiente che batte il suo nemico, la mafia, l’antistato. I politici di turno si specchieranno su questa forza dello Stato Democratico italiano.
MA VOGLIAMO SCOMMETTERE CHE CASUALMENTE CATTURERANNO BINNU PROVENZANO UNA SETTIMANA PRIMA DELLE ELEZIONI DEL 9 APRILE?
….a suivre….
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start, introductio

inizio. do il via alle danze.
questo blog nasce per molti motivi.
nasce per comunicare qualcosa. lo so, forse è una moda, quella dei blog. ma chi se ne frega. sento anche io, come moltissimi, questo bisogno di comunicare.
parlare del mondo e di me stesso. o meglio. della mia visione del mondo.
sempre seguendo il sottile filo del dubbio e della critica.
per questo il blog prende il nome di signorD.
D come Domenico, il mio nome, ma anche signorDì come risposta che non è nè signor SI nè signor NO. oltre ad un omaggio ad uno degli artisti italiani più anticonformisti del dopoguerra: il signor G.
sempre alla ricerca di me stesso e dell'anima delle cose.
DUBITO ERGO SUM